Dove ci perdemmo,
quando le nostre voci
si fecero musica
e perché tutto si tramutò
in un solo canto?
Dimoravamo
nel bacio dello stupore,
tra i novelli richiami dell’alba.
Principio di quell’innamoramento
che già provvide
alla separazione dei sé, dei noi,
così come van staccandosi
l’una dall’altra le labbra
prima di congiungersi ancora
a quelle amate.
Non sappiamo
eppure conosciamo il mistero
che al simile ci rende eguali,
come una rosea ansia di elementi
che scatena attorno ad essa
una tempesta di vissuti, i nostri,
nel balenare intimo
dei più clamorosi fenomeni.
Anima.
In quel distacco feroce,
quanto fecondo e innaturale,
v’è tutta la convivenza
dell’opera umana
che inazzurrandosi ai cieli
ha cominciato a nutrirsi
degli ariosi fondali mattutini
per alimentarci, a sua volta,
di gioie indiscusse, di realtà sovrane,
contro la sazietà illusoria
che giammai potrebbe appartenerci.
Raggiungeremo il nostro canto,
dal diapason dell’ultima nota distesa
e libera come un’atmosfera acquea,
quando vorrà farsi trovare,
quando desidererà immergersi
in pura origine
nel connubio delle nostre voci.
Continuiamo
col prenderci cura di quel bacio,
luogo natìo
della nostra sapiente dimora,
perché la nostra storia
scriva di questo amore incarnato
come di una parola
che più non abbisogna di pagine
bensì di un solo anelito
germogliato dal suo stesso pathos.
(14/03/2024)