Nel settimo giorno del secondo mese di dodici, al venticinquesimo anno della duemillesima età, tra l’ora fertile e quella sterile, la parola di Dio, mio Signore, è scesa su di me in questi termini:
Tutto avviene perché tutto deve avvenire. Ma guai a colui per mezzo del quale tutto questo avvenire avverrà.
Figlio dell’uomo,
oggi pongo, nelle belle acque del tuo volere, una tratta di dispiaceri e di dolori, per un’inquisizione priva di costituti da trattative.
Non aver timore per questo.
Poni sul candelabro, che aleggia tra le tue labbra, un respiro smorzato, in segno di lutto per l’intera umanità.
Infatti sto per deporre, in quelle belle acque, una corona di alloro e di cemento con un cuscino di fili spinati. Tu guardati dalle rose nere carnivore e dal loro celato fogliame.
Ciò che ora non comprenderai fiorirà nella letizia e nel giovamento, domani, a lode e gloria del mio santo nome.
Figlio dell’uomo,
c’è chi spiana la strada e chi rende impervia la via.
Sali sul monte più alto e cammina da fermo, così, come si parla in silenzio. Poi dirai all’eco imperiale, che dietro al tuo udire mai potrebbe sussistere, e ai suoi insetti rapaci meglio graduati:
Ecco, questa è la parola del Signore, mio Dio.
A chi sporge dagli occhi
il grasso per le sue libazioni orgiastiche,
per i suoi conviti funerari,
come fiumi che sovrastano il collo, le labbra,
sgorgherà nei suoi pensieri,
in pieno giorno e nel migliore dei suoi sonni,
il mieo dire con il mieo sentire
che squarcerà le certezze nei suoi poteri,
mentre la sua lingua sarà invasa
dall’ulcera della ragione
che lo assorderà in ogni sua parola,
finanche in ogni suo silenzio.
Questo accadrà
perché si è fatto dio con gli uomini,
riducendo la libertà di questi
a pulviscoli da stadera.
In verità,
costui non è che un idolatra,
il più grande antiuomo
che sia mai stato avvicinato alla terra.
Le genti, ben presto,
lo riconosceranno per ciò che egli è,
e si sottometteranno
alle sue imprese capricciose e ai suoi voleri.
Anche chi ha senno, in quei giorni,
lo approverà come dominatore,
facendolo suo sovrano e suo signore.
Diverrà, in breve, per antonomasia,
il filantropo della dittatura,
quando si autoeleggerà guardiano degli oppressori.
Si esalterà perché sarà esaltato,
e non darà mai pace a chi non lo sostiene,
né concederà mai tregue
a tutti coloro
che cercano realmente
dalla pace ristoro e ristoro dalla pace.
Come pece che brucia e brilla sull’asfalto,
così andrà cancellando decreti,
statuti, diritti, e persone.
Lui, l’antiuomo, crederà
(e sarà appoggiato in quest’opera)
di essere paladino non solo dei suoi confini.
Riusciranno molte delle sue imprese.
E ciò accadrà
mentre sarà mandante ed esecutore finale
dei crimini peggiori, i più efferati.
Quando, infine,
farà di se stesso l’idolo più alto della terra,
capovolgendo anche l’idea di dio che ha di sé,
la soppressione etnica, multirazziale,
culturale e religiosa,
raggiungerà l’apice della sua identità,
coinvolgendo, così, tutte le nazioni,
e tutte le varietà dei popoli
nel collasso più destabilizzante del pianeta.
Così, il grande abominio si rivelerà,
in ogni sua devastazione, sulla terra.
In quel tempo, io mi muoverò a pietà
per chi è stato fedele all’unico Dio,
e per chi ha onorato
con la propria esistenza la vita.
Lascerò che, nello spirito del torpore,
la follìa di molti invada la mente di tanti,
affinché anche le tempie di costoro pigolino,
sconnesse, il nome mio,
con la voce dei papaveri
nelle amene tane delle viole.
Nei mari vi sarà un grande segno,
e una voce chiamerà anche i rettili a raccolta,
così come i prodigi della mia rugiada
cadranno nei cieli bassi e minacciosi
dei confini allargati dall’idolo di se stesso.
Come una pentola che ribolle,
sulle fiamme dei miei sette spiriti
vi è un fuoco che arde
per chi ha creduto di muovere guerra
perfino a me,
nella mia Parola.
Dentro la pentola manca solo il suo nome.
La tavola è imbandita.
Per il giorno della grande festa
tutto è pronto.
Gli invitati non sanno di essere invitati.
I servitori non sanno che dovranno servire.
Il Festeggiato chiamerà tutti
per la grande cerimonia.
Io sarò il dono per alcuni.
Ma chi non indosserà, alla festa,
l’abito giusto sarà da me considerato
meritevole della peggiore delle condanne.
Su questo aspetto
non avrò riguardo per nessuno.
Fin qui, tutto a gloria del mio santo nome.
Ma a chi sporge dagli occhi
il grasso per le sue libazioni orgiastiche,
per i suoi conviti funerari,
a chi intinge ogni giorno il suo di nome
nel maledetto piatto delle grandi menzogne,
come fiumi che sovrastano il collo, le labbra,
sgorgherà nei suoi pensieri,
in pieno giorno e nel migliore dei suoi sonni,
il mio dire con il mio sentire
che squarcerà le certezze nei suoi poteri,
mentre la sua lingua sarà invasa
dall’ulcera della ragione
che lo assorderà in ogni sua parola,
finanche in ogni suo silenzio.
Questo accadrà perché si è fatto dio, l’antiuomo,
quando in verità non è che un nome falso,
inchiostro di vergogna che va sporcando il mondo,
e che presto, io,
cancellerò col dito più piccolo,
lo stesso con il quale
ho creato le cose visibili di quelle invisibili,
e le cose invisibili di quelle visibili,
per amore di un amore
che non sarà mai spento.
Di fuoco in fuoco.
In spirito di spirito.
Nel settimo giorno del secondo mese di dodici, al venticinquesimo anno della duemillesima età, tra l’ora fertile e quella sterile, la parola del Signore, mio Dio, è scesa su di me in questi termini:
Il Signore si è sdegnato, non trattiene in seno la sua destra, per il grande reato delle nazioni, per la bestemmia posta sempre sulla bocca, fin troppo pressata, dei rispettivi popoli.
Ho piantato, nel mio giardino, querce d’avorio e cedri elevati. Hanno immortalato la loro corruzione allevandosi a vicenda e perché, davanti alla foresta e perfino innanzi ai miei occhi, si sono ritenuti degli immortali. Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco.
Ecco. Tutto avviene perché tutto deve avvenire: l’esercito celeste si dissolve, i cieli si arrotolano come un libro, tutto il loro esercito cade come cade il pampino dalla vite, la foglia avvizzita dal fico. Ma guai, guai a colui per mezzo del quale tutto questo avvenire avverrà.
(07/02/2025)