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Tra il graffio della vite e il ghigno della polvere

Posted on 9 Aprile 20259 Aprile 2025 By Voce di uno Nessun commento su Tra il graffio della vite e il ghigno della polvere
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Tra l’ottavo e il nono giorno del quarto di dodici mesi, nel venticinquesimo anno della duemillesima età, tra l’ora quindicesima e quella dodicesima, la mano di Dio è scesa su di me. Egli, l’Altissimo, mi ha parlato in questi termini:

Figlio dell’uomo,
non dovrei forse consolare il mio popolo,
in questo tempo di sete, di fame?
Sarai tu, forse,
a dare da bere, da mangiare, al mio popolo, dunque,
o lo sfamerò io, e sempre io sarò a dissetarlo,
con la mia parola, con il mio braccio potente,
e col mio eterno amore?
C’è chi crede che non sia tempo,
che non sia giunto il momento
per il mio grande banchetto.
Figlio dell’uomo,
sappi e intendi bene ciò che ho da dirti.
Perché ciò che io ti dico nel segreto del cuore,
tu lo dovrai annunciare in tutte quelle piazze
ove ho già provveduto a spalancarne le porte.
Le mie nozze sono ieri e domani,
oggi e sempre.
Le mie nozze sono une e trine,
perché Io sono.
Ora, figlio dell’uomo,
io non ti comando di tacere, né di parlare.
Io ti invito alle mie nozze.
Indossa il vestito più bello
e seguimi.
In verità ho anche altri da invitare.
Io ti mando giù,
giù dal mio santo monte,
affinché anche questi altri
possano unirsi a te
al banchetto delle mie nozze.
Ecco.
Io faccio della mia parola la tua parola.
Essa è una e trina.
Senza porre l’anello ad alcun dito
e con i lacci dei sandali ben legati,
tu, volgendo lo sguardo al cielo senza guardarlo,
e scrivendo per terra il mio invito solenne
con la tua mano più forte,
tra il graffio della vite e il ghigno della polvere,
dirai così, nel tuo parlare tacendo,
con unica voce.

Delle vostre strategie della tensione
e dei vostri piani di ostilità,
voi ne andate facendo semina da falsa scrittura,
piantagioni di aritmetiche scelleratezze,
le quali in null’altro risiedono
se non nei territori aspidi della sconfitta
e dei suoi effimeri risultati.
È sparita la lealtà,
la frode ha ingaggiato
il suo duello più grande con l’ingegno,
e la rapina cammina dinanzi a tutti senza timore,
aiutata dall’inganno.
Ai morti che corrono per le vie delle città,
dei paesi e dei mari,
vanno sommandosi tutti quei morti
che costringono alla corsa i primi:
quante strade
devastano la vista delle popolazioni
che vorrebbero aprire gli occhi su placide certezze,
nel territorio sovrano della verità.
Non possono.
Voi andate infangando il diritto e la giustizia
con il vostro vile operato.
E uomini, e donne,
dai più piccoli ai più grandi,
dai più colti ai più inesperti,
dai conoscitori dei beni
derivanti dall’uso esteso e corretto del pensiero,
ai meno dotati di scienza e ragione,
coscienza e amore;
tutti, dunque,
saggi e volgari,
analfabeti del cuore e intellettuali,
sono prede vive dei vostri interessi da potere.
Avete iniettato il morbo del male
nelle meningi del mondo:
esso è simile ad un paraocchi montato sul viso,
sul volto di ognuno,
affinché si guardi solo in una direzione:
la vostra, riflessa nello stagno del non ritorno.
Neanche fossero bestie,
costoro sanno esattamente cosa gli accade.
Eppure, o corrono,
come tanti stalloni e come tante puledre,
nei territori da conquistare,
o costringono alla corsa altri,
prima di darsi alla perlustrazione
di nuove aree da devastare.
Sono gli schiavi del terzo millennio.
I consapevoli.
Selvaggina da macello.
E poi ci sono i trasparenti,
ovvero, quelli che il respiro lo lasciano in terra.
E non per darlo in prestito ad altri,
nella vile corsa,
ma perché voi, ladri, glielo rubate,
col vostro incedere omicida.
La lealtà è svanita.
Chi fa il bene è il vostro nemico principale:
un condannato.
Vi siete fatti incidere sul vostro volto un sorriso,
un sorriso plastico. Sì.
Quello genuino, in voi,
non potrebbe giammai risiedere,
poiché è per i viventi.
E voi,
voi non appartenete a questa categoria di esseri.
Ipocriti.
Voi operate nelle tenebre cantando l’amore,
seminando poi violenza e odio
nei suoi legittimi territori.
Chi spera nella pace deve gridare vendetta,
per causa vostra,
e chi spera nella legge, nel diritto e nella giustizia,
non può far altro che provare terrore.
L’umanità è sgomenta.
Corre, corre come una cerva impaurita
per il sopraggiungere imminente dei cacciatori,
i quali gli hanno teso il laccio più grande:
l’irriverente menzogna di essere i suoi liberatori.
E corre,
corre come un figlio
vorrebbe correre incontro al padre,
ignara che ad attenderla è la morte.
Per opera dei soliti avvoltoi.
Siete degli aguzzini.
E l’umanità è vittima, soprattutto,
del vostro smarrimento.
Sì.
Voi avete estinto il vostro coraggio di camminare.
Di camminare per la via dei sentimenti.
E chi vuole seguirla,
lo condannate ad una morte infame.
Così, come voi non entrate nella via,
fate che anche chi vuole entrarvi
non ci provi affatto,
a patto di perdere la sua stessa vita.
Ecco.
Per me voi siete come tanti tamarischi.
Oracolo del Signore.
Meritate, meritate.
Di restare in solitudine,
nei deserti che avete creato.
Nel silenzio rumoroso della steppa,
di un terreno reso arido da voi,
dal vostro indegno operato.
E gli struzzi, gli sciacalli:
saranno loro
a mordere il vostro unico frutto di stagione,
sterilità di una mai prospera posterità.
Come un pellicano,
io stesso, in questo squallido deserto,
sfamerò e disseterò l’umanità
che va sfamata e dissetata.
Oracolo del Signore.
Con la mia stessa carne ed il mio stesso sangue,
io darò vita nuova
a chi ha il suo nome scritto nel libro della vita.
E la mia parola sarà il sigillo
con il quale estirperò ogni intento omicida,
chiudendo per sempre tutte le bocche più infami.
Chi non crede che tutto si compie,
al tempo che gli ho dato,
per la mia parola,
è stato già ingoiato, per intero, dalla superbia.
E questo affinché si adempia in tutto,
anche in ciò, per ogni tempo stabilito,
la mia parola.
In verità, oggi,
come da sempre accade,
dei vostri abominevoli interessi
voi ne andate facendo semina da falsa scrittura,
piantagioni di aritmetiche scelleratezze.
Ma io, oggi,
come da sempre accade,
vi sto dimostrando
che esse in null’altro risiedono
se non nei territori aspidi della sconfitta
e dei suoi transeunti risultati.

Figlio dell’uomo,
tu non spogliarti dell’abito primo
e non smettere di calzare i sandali dell’invitato.
E seguimi.
Le mie nozze sono ieri e domani,
oggi e sempre.
Le mie nozze sono une e trine.
Perché Io sono.

Ecco.
Volgendo lo sguardo al cielo senza guardarlo,
e scrivendo per terra il mio invito solenne
con la tua mano più forte,
tra il graffio della vite e il ghigno della polvere,
ho detto così, nel tuo tacere parlando,
con unica voce e nel mio terribile nome,
assisi entrambi sopra di te,
per volere del mio volere.
Come la giustizia e l’amore,
nel loro innato e mai ultimo bacio.
Oracolo di Dio, mio Signore.


(09/04/2025)

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