Nel ventre delle lacrime scherane

“Guai quando tutti gli uomini
diranno bene di voi.”

Nel quarto mese, il decimosettimo giorno del mese, del ventiquattresimo anno della duemillesima età, la parola del Re, il cui nome è Dio, è scesa su di me in questi termini:

Vi affaticate per il niente
insudiciato di sangue
mentre nel nome del potere
che vi imponete tra voi stessi
colpevolizzate masse di persone
del tutto innocenti
offendendo la vita.
Poi, moltiplicando
la vostra sete di vendetta,
dilaniate le speranze
di chi attorno a voi muore,
di chi attorno a voi
attende inutilmente la pace.
Non così, però.
Non così durerà
questo abominio devastante.
Malvagi.
Avete eretto muri di fango
dietro voi
e non smettete di arricchirvi
presso i nuovi fiumi di denaro
che circondano
l’intero apparato geopolitico
ben militarizzato
e sempre operativo
in ogni probabile, nascente scenario.
Guerre che voi avete ideato
col brevetto del diavolo!
Le nazioni sono sperdute
tra gli opposti limiti
di mutilanti coordinate
e i popoli sono terrorizzati
come pecore senza pastore
mentre voi andate esultando
nelle vostre piazze
e nei vostri palazzi,
levando al cielo
con le mani della vergogna
i calici della disgrazia.
Invece di prostrarvi…

Ma ecco. Dio Padre, il Signore dei Signori, il cui nome è Terribile tra le nazioni, così parla ancora verso coloro che pur intendendo ostruiscono l’altrui ascolto e infieriscono sul popolo che non a loro appartiene e, ancora, il suo furioso sdegno versa su coloro i quali con perversa discriminazione hanno dimenticato la propria origine, soffio che va’ e che più non ritorna:

Cieche mandrie,
non riuscite più a guardare
né a destra né a sinistra,
tantomeno dietro o avanti a voi.
Il giorno si sta manifestando
ma non siete in grado
di riconoscerlo
poiché vi si è sclerotizzato il cuore
e avete la cervice arrugginita.
Una genìa ribelle
ha condotto il mondo
lì dove il vento disperde la pula,
fondatori di belligeranze
anziché edificatori di granai.
Il tempo va compiendosi
e questo accade
perché siete malati.
Sì. Malati nell’anima,
lebbrosi nel cuore.
Le peggiori azioni
che andate operando
nemmeno i vostri padri
le avrebbero mai commesse.
Sodoma e Gomorra
addirittura si dimenano,
nel ventre delle lacrime scherane,
per tanta innocenza interrotta,
per la brutalità
che trae linfa dal vostro fiato.
Mi avete messo alla prova
come nessuno mai prima di voi.
Oggi il miglior statista
si chiama infame.
E il peggior infame
va liberamente ammazzando
il mio popolo
governando su delle nazioni assenti,
astratte, senza terre né mari.
Ma il giorno è cresciuto
come un virgulto
avanti ai miei occhi.
Distratti ed ebbri
non ve ne siete
nemmeno accorti.
La notte, vostra compagna,
amerà starsene da sola
mentre voi andrete girovagando
tra i vostri adultèri
come tanti cinghiali.
Voi mi cercherete
ma non mi troverete.
Busserete ma non vi aprirò.
Chiederete ma non vi darò.
Beati quelli
che entreranno
nel luogo del mio riposo,
riservato da sempre per essi:
io vi dico
che li osserverete da lontano
e la vostra più grande tortura
sarà quella di sapervi abbandonati,
senza padre e senza patria,
mentre nel vostro cuore
la lebbra accenderà il fuoco
per l’anima vostra dannata,
ròsa da un verme
che non vedrà mai la sua fine.
Ecco,
ho avuto fame e sete.
E come ieri,
anche oggi,
con una bomba tra le labbra
mi avete sfamato e dissetato.
Beati i puri di cuore
perché vedranno Dio.
E maledetti,
maledetti coloro che
senza questa beatitudine
saranno chiamati a guardarmi:
vi dico
che io metterò
una nuova fame e una nuova sete
nel loro cuore calcificato
e questo non troverà in eterno
mai più pace.

(17/04/2024)