Cos’è l’uomo
tanto che la sua alterigia
giunge fino alle sponde
dei più ripugnanti stagni,
cos’è questo verme
che non più a me grida
e si rivolge agli idoli,
opera delle proprie mani,
confidando solo e sempre
in se stesso e negli uomini,
cos’è se non un maledetto
che avrà e già sta ricevendo
la sua ricca ricompensa?
Una voce,
una straziante voce si erge,
si eleva, si innalza dalla cenere,
nel frastuono delle anime,
portando con sé tutto il dolore
dei popoli oppressi, non più figli,
non più sudditi di alcuna nazione.
E patria non esiste più
poiché nessun angelo vigila
sul suolo amaro dei loro pianti
e delle loro omissioni.
Poiché l’abominio della desolazione
è sempre più addentro le ossa
della città assediata dalla miseria umana,
dalla consueta veglia notturna
ove essa in ogni buio angolo,
per ogni piazza,
per ogni via stretta
e in tante case avvizzite,
va prostituendosi
portando con sé
l’obbrobrio del ricatto e dell’estorsione,
della cupidigia e della bruttura omicida
nella complicità delle sue sorelle
sempre più arricchite
per lo sfacelo della dignità delle loro vittime
prede dell’inganno,
della perversa condotta,
della infame corruzione
che rende l’uomo indegno,
privo di coscienza,
capace dei peggiori mali
e delle più inique azioni.
Non così però.
Non così
avranno facile esistenza queste millantatrici,
ammaliatrici di serpi più che di uomini.
Cosa si dirà di esse
quando incanteranno lo sciacallo
e l’avvoltoio si proietterà
come un falco affamato su di esse
per farne proprio bottino
di un misero istante?
Già, un misero istante
vale per me la loro vita,
non altro.
Meglio per loro, forse,
aver mietuto violenza
e raccolto disonore
tra i popoli tutti, oggi e domani,
sulla mia nazione?
Grida,
squarciati la gola e grida,
la polvere sia la casa
ove innalzare un lamento ultimo
per l’innocente e per sua madre.
Si levi, improvvisa,
la tua voce nel lieve canto
della mia consolazione.
Annuncia dal monte dove io ti ho posto
la speranza tramutata in certezza.
Dirai loro che vicina è la liberazione,
che ecco:
un attimo ancora e spalancherò
perfino i tuoni
per esprimere ai figli e ai figli dei miei figli
la vicina salvezza.
Percuoterò con la verga della mia parola
il fiume della grande devastazione,
lo renderò scarlatto,
l’acqua sarà densa
come piene sono tutte le sue colpe,
sangue scaturirà dalle sue piaghe amare
e nessuno potrà, in quel giorno, abbeverarsi
alla fonte disumana della grande prostituta.
Eleverò le valli,
le colline saltelleranno
e le cerve con le zebrette non temeranno più
l’attacco del leone.
Farò dei monti un solo territorio di pace
che batterà le mani
per la promessa esaudita,
per la certezza svelata.
Sì poiché la rivelazione
non sarà più sulla bocca del mio pastore
giacché più nessuno
vagherà nell’ombra della morte
e il sole che si era oscurato
cesserà di essere un astro vivo e vero.
Il vento lascerà che il polline della salvezza
si posi su ognuno, su ognuno dei miei fiori
e a cieli aperti e uniti
sulla terra calerà la melodia della rugiada
che con la mia potenza
darà frutti nuovi e maturi,
maturi e nuovi.
Canteranno un canto antico i contadini
quando torneranno coi loro covoni
dai miei quattro campi
e la gioia non li abbandonerà mai più.
I bambini saranno il compimento
di ogni mia alleanza stretta con i loro padri
e giocheranno miti coi serpenti
quando abbatterò,
con il mio stesso braccio,
l’orgoglio imbastardito dei colli ribelli.
Snuda,
snuda la tua voce o fierezza del mio canto,
amore del mio amore,
annuncia che non mi dimenticherò
della mia sposa,
che le darò un nome nuovo,
un nome con il quale nessuno,
nessuno oltre me potrà chiamarla.
E mentre annunci la tua voce va’,
supera le vette della consapevolezza
e della ragione per unirsi,
ad asceso spirito,
alla purezza della mia passione.
(10/03/2022)